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martedì 9 ottobre 2012

Le varianti de L'Infinito



Le varianti de L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle
e questa siepe, che da tanta parte
del celeste confine
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
   un infinito
        interminato
      Ma sedendo e mirando  interminati 
spazio di là da quella
spazi di là da quella e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo: ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
                    fra
odo stormir tra   queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
                             .E mi  sovvien l’eterno,
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

e le morte stagioni, e la presente
            e ‘l               fra
      e viva, e il suon di lei. Così  tra  questa

immensitade il mio pensier s’annega
immensità,
infinità      
immensità  s’annega il pensier mio

e ‘l naufragar m’è dolce in questo mare
e il naufragar m’è dolce in questo mare.



Entriamo nel laboratorio poetico di Leopardi esaminando le correzioni autografe sul testo de L’infinito. E’ interessante osservare come la parola “infinito”, dopo essersi affacciata diverse volte in posizioni diverse del testo, sia stata regolarmente sostituita da altre scelte. La prima volta “infinito”  si presenta nella forma aggettivale in enjambement con “spazio” ed è subito sostituita dalla variante  interminato”, che rimane ma passando al plurale nel nuovo sintagma “ interminati spazi” che accresce l’indefinitezza dell’immagine. Compare invece senza correzioni e ripensamenti nel verso “ quello/infinito silenzio”: in enjambement con il deittico di lontananza, simmetrico al “di là da quella” – cioè la siepe -. Agli elementi percepibili del paesaggio reale si vanno sostituendo altri paesaggi,  più remoti rispetto al soggetto che contempla e ode. Paesaggi reali o mentali? 
   La terza volta la parola si presenta in forma sostantivale alla fine della poesia –  così tra questa/ infinità s’ annega il pensier mio” - , e anche qui viene rifiutata a favore di “immensità” , variante a sua volta del più arcaizzante “ immensitade”. Il fatto è che l’infinito non può essere un’esperienza dei sensi, legata al mondo reale, – “ questa infinità” : da notare il deittico- ma un’esperienza dell’immaginazione, sollecitata, messa in moto dai sensi ( io posso percepire una cosa come immensa ma non come infinita, che è un’idea astratta).
 Mettiamo quindi a confronto le due parole “ infinità” e “ l’infinito” che dà il titolo alla poesia: credo che la scelta sia dettata dal fatto che “ infinità” ha una densità di “cosa” che svanisce – rimanendone però l’idea – nella sostantivazione dell’aggettivo “infinito” dato dall’articolo ( l’infinito). DA concetto, l’infinito si fa esperienza immaginativa, frutto di un pensiero potentemente creatore: “ io nel pensier mi fingo” non significa, infatti, “ invento” ma, con piena adesione all’etimo latino, propriamente “plasmo, costruisco”.Dunque,  non c’è un soggetto che passivamente riceve le immagini della natura nell’impressione sensoriale , ma un soggetto attivo, che entra in relazione con la natura e la ri-crea a partire dal proprio sentire.

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