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giovedì 18 ottobre 2012

Notarelle su due Operette Morali



Dialogo di Ercole e Atlante: L'argomento è quello  della scomparsa del genere umano. La critica feroce all'antropocentrismo passa attraverso il linguaggio dell'abbassamento comico e della degradazione : Atlante tiene la terra sulla schiena come una  "pallottola" e si meraviglia che essa si sia fatta così " leggera"; Ercole la paragona a una " pagnotta" e, per la scomparsa di ogni rumore al suo interno, " a un oriuolo ( = orologio)che abbia rotto la molla".  Credendo che gli uomini siano profondamente addormentati, Ercole suggerisce di scuotere un po' " questa sferuzza" giocando con essa a palla. La presa è peraltro difficile perchè la terra risulta troppo "leggera" ( e d'altronde,  "questa  è sua  pecca vecchia, di andare a caccia del vento")  e al tempo stesso non rimbalza " più che un popone". Tutto è inutile:non si manifesta più alcun segno di vita."
Armi del comico, qui come nel simile Dialogo di un folletto e di uno gnomo, sono il cozzare della materia tragico-apocalittica con la leggerezza della rappresentazione e il riso demistificatore che , attraverso la lingua abbassa a un piano familiare, ciò che generalmente si ritiene dignitoso e serio.

Dialogo di Federico Ruysc e delle sue mummie
Il tema del piacere negato alla esistenza umana e del dolore come condizione universale viene qui svolto nella prospettiva straniante del coro dei morti che, al compiersi del grande anno cosmico, si destano per un quarto d’ora dal loro sonno per parlare con i vivi.
L’idea centrale, espressa dalla nenia con cui inizia l’operetta, è che la morte sia di gran lunga preferibile alla vita perché in essa, spento il sentire, non vi è più patimento. Guardata dai ciechi occhi dei morti, la vita si rivela “ cosa arcana e stupenda” – nel senso etimologico di “che desta stupore”-, esattamente come appare la morte agli occhi dei vivi. Ma la parola di verità definitiva spetta questa volta ai morti che, avendo  già sperimentato entrambe le condizioni, non vorrebbero tornare a vivere, perché, sebbene nemmeno nella morte vi sia felicità ( “ però ch’esser beato/ nega ai mortali e nega a’morti il fato”) vi è però almeno quiete ( “lieta no ma sicura/ dell’antico dolor”).
E come appaiono misere e banali le curiosità e le affermazioni di Federico di fronte alla solenne esposizione dei morti, che in questa notte improvvisamente metafisica fanno affacciare i vivi sulla soglia del mistero più temuto.
Il rovesciamento dei valori in cui si cambiano di segno il positivo e il negativo si trasferisce anche nelle forme espressive, con il passaggio repentino dal sublime lirismo del coro che fa da preambolo all’operetta al registro quasi comico-burlesco dello studioso, destato dal suo sonno notturno da chi si è svegliato dal sonno eterno.

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