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mercoledì 16 marzo 2011

Perchè sarò in piazza il 17 marzo

La  discussione sul 17 marzo è la più evidente cartina di tornasole della indegnità di questa classe dirigente a governare e a rappresentare il Paese, e dello stato desolante in cui versa la società italiana.
  La cosa più grottesca è che si sia aperta una discussione sulla ricorrenza del 150° anniversario della unità d'Italia, che non si sia cioè immediatamente, naturalmente riconosciuto ovvio celebrare questa ricorrenza come una solennità civile. Il fatto che ci siamo alla fine arrivati non toglie nulla alla gravità della cosa. E cerchiamo di dimenticare i consiglieri leghisti della Regione Lombardia che stamattina sono usciti dall'Aula e convenuti alla Buvette per la colazione, mentre nell'Assemblea veniva cantato l'Inno di Mameli . O  forse no, meglio tenere a mente anche questo e scandalizzarcene insieme.
 Se una collettività non si riconosce unitariamente  in eventi - così come in luoghi - sentiti come fondativi dell'identità comune, i diversi " Io " si svilupperanno non dentro il " Noi" ma fuori di esso, e potenzialmente con esso in conflitto. E credo che da questo, fondamentalmente, dipenda lo scarso senso del "pubblico" e la crisi delle Istituzioni,così grave nella stagione che stiamo vivendo.
Che questo scarso senso del pubblico, cioè della "società stretta", sia un male tipicamente italiano lo aveva già messo acutamente in luce, nel 1824, Giacomo Leopardi in quella lucida analisi che è il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani,  nel quale egli  attribuiva  " il poco o niuno amore nazionale che vive tra noi, e certo minore che non è negli altri paesi" proprio alla tiepidezza, se non all'assenza, di un sentire comune fondato sulla esistenza di comuni valori e costumi.
Penso che quelle lontane riflessioni, di cui mi piace riproporre alcune parti, possano essere utilmente riascoltate e meditate:

" Gl'italiani non temono e non curano per conto alcuno di essere o parer diversi l'uno dall'altro, e ciascuno dal pubblico, in nessuna cosa e in nessun senso.[...] Primieramente dell'opinione pubblica gl'italiani in generale, e parlando massimamente a proporzion degli altri popoli, non ne fanno alcun conto[...] 
Come la disperazione, così nè più nè meno il disprezzo e l'intimo sentimento della vanità della vita, sono i maggiori nemici del bene operare, e autori del male e della immoralità. Nasce da queste disposizioni la indifferenza profonda, radicata ed efficacissima verso se stessi e verso gli altri, che è la maggior peste de'costumi, de'caratteri e della morale. [...] Conosciuta ben a fondo e continuamente sentendo la vanità e la miseria della vita e la mala natura degli uomini, non volendo o non sapendo o non avendo coraggio, volendo o dovendo pur venire e rassegnarsi e cedere alla natura delle cose, il più savio partito è quello di ridere indistintamente e abitualmente d'ogni cosa e d'ognuno, incominciando da se medesimo. [...] La quale indifferenza chi non sa quanto nuoccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela. [....] Laddove presso l'altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l'amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d'amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale, in Italia per la contraria ragione, la società stessa, così scarsa come ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce, esercita e infiamma l'avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini. "


Buon, vecchio Leopardi.