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lunedì 2 gennaio 2012

Una lezione online sui Promessi Sposi. La struttura del romanzo

Nell'edizione dei Promessi Sposi del 1827 Manzoni dà al romanzo la struttura nella quale lo leggiamo oggi e che non sarà più variata. I 38 capitoli sono organizzati in blocchi, con due grandi cerniere narrative costituite dalla storia di Gertrude e da quella dell'Innominato. Vediamoli nel loro insieme.
I primi otto capitoli sono caratterizzati, si potrebbe dire, dalla unità di luogo e di azione: l'ambientazione è nel paese di Renzo e Lucia dove prende avvio la vicenda con l'avviluppamento del nodo narrativo. Questa prima serie di avvenimenti si conclude con il fallimento di due azioni che si svolgono contemporaneamente: il tentativo di rapimento di Lucia ad opera dei bravi di Don Rodrigo e il matrimonio clandestino nella canonica di don Abbondio. L'VIII capitolo termina con l'abbandono del paese, la traversata del lago e la separazione dei personaggi: Renzo dovrà recarsi a Milano al convento dei Cappuccini a cui lo invia con una lettera di presentazione Padre Cristoforo mentre Lucia troverà asilo nel convento di Monza. In termini di morfologia del racconto secondo le funzioni descritte da Propp si ha qui la rottura della situazione di partenza e l'allontanamento dell'eroe. Abbandonato lo spazio chiuso e protettivo del paese, da cui prende congedo silenziosamente Lucia, affondata nelle tenebre della notte e del lago nella lirica pagina dell'”Addio Monti”, si aprono da questo momento per i due “ fuggiaschi” gli spazi aperti e sconosciuti dell'avventura.
Dopo i due capitoli contenenti le vicende della Monaca di Monza, i capitoli XI- XVII seguono Renzo nella sua avventura milanese fino al suo ricovero in casa del cugino Bortolo, dove Manzoni lo lascia per tornare al paesetto dei due promessi dove continuano gli intrighi di don Rodrigo ( capp. XVIII-XIX).
I capp. XX – XXVI orchestrano vari generi e registri stilistici: si passa dal romanzo nero, con il rapimento e la prigionia dell'eroina , al grande a-solo tragico della notte dell'Innominato, dal sublime del dialogo fra Federico Borromeo e l'Innominato all'abbassamento comico del dialogo del Cardinale con don Abbondio e dei soliloqui di quest'ultimo, nei quali si manifesta la rozzezza e ottusità del suo sentire.
Guardate questo brano, è la scena in cui don Abbondio, a cavallo di un mulo, sta salendo tutto impaurito al castello dell'Innominato per ricondurre Lucia da sua madre:

Cosa dirà quel bestione di don Rodrigo? ... sta a vedere che se la piglia anche con me, perchè mi son trovato dentro questa cerimonia ( cioè, la sensazionale conversione dell'Innominmato!) ...
Come finiscono queste faccende? I colpi cascano sempre all'ingiù; I cenci vanno all'aria... ecco che il cencio son divenuto io.... Cosa farà ora sua signoria illustrissima ( il cardinale)per difendermi, dopo avermi messo in ballo? ( cfr. il comando di salire con l'Innominato al Castello per liberare Lucia) Mi può stare mallevadore lui che quel dannato ( L'Innominato) non mi faccia un'azione peggiore della prima?... Quelli che fanno il bene, lo fanno all'ingrosso: quando l'hanno provata quella soddisfazione, n'hanno abbastanza, e non si voglion seccare a star dietro a tutte le conseguenze”
Un po' diverso, come tono, dalle parole rivolte ai Bravi per riferirirsi a don Rodrigo ( “ Lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli... Disposto... disposto sempre all'ubbidienza... “cap.I)

Il capitolo XXVI sembra avviare il racconto verso la soluzione del nodo narrativo: dopo essere stata liberata dal Castello dell'Innominato e avere reincontrato la madre, Lucia viene ricoverata a Milano presso don Ferrante e donna Prassede mentre Agnese tornata al paese cerca di averre notizie di Renzo e di mettersi in contatto con lui. Le due donne si ripromettono di rivedersi nell'autunno successivo ma... Qui la storia privata di Renzo, Lucia, Agnese e gli altri si raccorda con la grande Storia e i suoi drammi collettivi. Manzoni abbandona i personaggi per comporre un vasto quadro di carattere storico : nei capp. XXVIII-XXXII si narra della guerra per la successione al Ducato di Mantova e dello scoppiare della peste a Milano.
La lunga digressione storica prende avvio alla fine del cap.XXVII e su questo vale la pena di fermare per un attimo l'attenzione.

“ Venne l’autunno, in cui Agnese e Lucia avevan fatto conto di ritrovarsi insieme: ma un grande avvenimento pubblico mandò quel conto all’aria: e fu questo certamente uno de’suoi più piccoli effetti. Seguiron poi altri grandi avvenimenti, che però non portarono alcun nessun cambiamento notabile nella sorte de’ nostri personaggi. Finalmente nuovi casi, più generali, più forti, più estremi, arrivarono anche fino a loro, fino agli infimi di loro, secondo la scala del mondo: come un turbine vasto, incalzante, vagabondo, scoscendendo e sbarbando alberi, arruffando tetti, scoprendo campanili, abbattendo muraglie, e sbattendone qua e là i rottami, solleva anche i fuscelli nascosti tra l’erba, va a cercare negli angoli le foglie passe e leggieri, che un minor vento vi aveva confinate, e le porta in giro involte nella sua rapina.” (XXVII, r. 451)

Il “turbine” che si va preparando è quello della guerra per la successione al Ducato di Mantova mossa dagli interessi dei potenti della terra, cui si accompagnano i saccheggi, l' inasprirsi della carestia e infine la peste, portata dall'esercito alemanno dentro i confini della Valtellina. Ma la similitudine, costruita sulle figure del climax e dell'anticlimax, chiarisce come quella che Manzoni sta anticipando non possa essere riduttivamente chiamata digressione, tanto gli avvenimeneti descritti sono fittamente intrecciati con le vicende dei protagonisti di cui costituiscono una nuova e più grave complicazione.
Guardiamo più attentamente il brano impostato sul parallelismo “turbine vasto”/ “minor vento”.
Se il “vento minore” che aveva investito con il suo soffio le foglie leggiere non può che riferirsi alla perturbazione provocata dalla prepotenza di don Rodrigo e dai casi generati da quella, ora è il “turbine vasto” della guerra, che si abbatte sui regni e sulle nazioni modificandone gli assetti, a riscompigliare le carte, disperdendo e tormentando quella che don Rodrigo aveva chiamato sprezzantemente “ la gente perduta sulla faccia della terra”, “la gente di nessuno”.
E mentre la storia ci dà “gli avvenimenti che ci sono noti solo dall'esterno, ciò che gli uomini hanno compiuto” ( Lettera a Monsieu Chauvet sull'unità di tempo e di luogo nella tragedia), spetta al poeta ricostruire la sostanza di carne, le passioni e i patimenti di quella “gente di nessuno” che ne costituiscono il volto nascosto.
Con il capitolo XXXIII si ritorna ai personaggi “ per non lasciarli più fino alla fine”. L'azione si sposta nella Milano devastata dalla peste, dove si riallacciano le strade di molti di loro, per tornare quindi, nell'ultimo capitolo, al paesetto dove tutto ha avuto inizio e dove finalmente Renzo e Lucia possono essere sposati da un Don Abbondio insolitamente gioviale e vitale.

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