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mercoledì 15 febbraio 2012

Per i ragazzi di 3^


E' TUTTA QUESTIONE DI STILE

Flaubert a Louise Colet, 19 settembre 1852
(in riferimento all'episodio dell'arrivo di Emma e Charles per la prima volta a Yonville)

Quanto mi fa ammattire la mia Bovary [...] Per questa scena d'albergo mi ci vorranno forse tre mesi, almeno così penso. A volte mi vien voglia di piangere, tale è il sentimento della mia impotenza. MA, piuttosto di eludere le difficoltà, voglio creparci sopra. Devo far sentire nella medesima conversazione cinque o sei persone ( che parlano) , molte altre ( di cui si parla), il luogo dove sono, l'intero paese, descrivendo fisicamentee persone e cose; e insieme mostrare una signora e un signore che, pre simpatia di gusti, cominciano a innamorarsi un po' l'uno dell'altro. Almeno avessi un po' di spazio! Invece tutto deve essere rapido senza secchezza e sviluppato senza prolissità.



Flaubert a Louise Colet, 15 gennaio 1853

Ho impiegato cinque giorni a scrivere una pagina. [...] Quel che mi tormenta nel mio libro è l'elemento divertente, che è mediocre. Mancano i fatti. Io sostengo che le idee sono fatti. Con esse, lo so bene, è più difficile interessare, ma se non ci si riesce la colpa è dello stile. Ci sono così cinquanta pagine di fila senza un movimento. E' una raffigurazione continua di una vita borghese e di un amore inattivo: amore tanto più difficile da rappresentare in quanto è a un tempo timido e profondo, ma ahimè! Senza frenesie interne perchè il mio messere è d'indole temperata. Già nella prima parte ho avuto da fare qualcos di analogo: il mio marito ama sua moglie nella stessa guisa del mio amante. Sono due mediocri, che vivono nello steso ambiente, ma che vanno differenziati. Se la cosa riuscirà, sarà, credo, molto forte, perchè si tratta di dipingere tono su tono e senza toni che facciano spicco.




Flaubert a Louise Colet,metà aprile 1853
( in riferimento al colloquio di Emma con il prete, poco prima che Léon parta per Parigi)

Finalmente comincio a vederci un po' chiaro nel mio dannato dialogo col curato... Voglio esprimere questa situazione: la mia donnina, in un accesso di religiosità, va in chiesa, trova sulla porta il curato, il quale in un dialogo ( senza un soggetto determinato ) si mostra talmente stupido, piatto, inetto, taccagno, che lei se ne torna disgustata e indevota; e il mio curato è un bravissimo uomo,anzi eccellente, ma pensa soltanto al fisico ( alle sofferenze dei poveri, alla mancanza di pane o legna), e non indovina i vacillamenti morali, le vaghe aspirazioni mistiche; è castissimo e osserva tutti i doveri. La scena deve occupare sei o sette pagine al massimo e senza una riflessione né un'analisi ( tutto in dialogo diretto)

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